Medio Oriente e Africa tornano al centro del gioco mondiale. Mentre la Cina media, la Russia occupa spazi e l’Europa arretra, il baricentro del potere si sposta a Sud. Per l’Occidente, la vera sfida sarà capire e adattarsi.
Dopo decenni di supremazia dell’Occidente, la storia geopolitica cambia direzione. Medio Oriente e Africa, a lungo considerate periferie del sistema internazionale, tornano a essere aree decisive. Le crisi globali energetica, alimentare, climatica e tecnologica hanno spostato l’attenzione su chi controlla risorse, rotte e demografia, più che su chi dispone di capitale o forza militare.
Il Medio Oriente è il laboratorio del nuovo mondo multipolare. La Cina consolida il proprio ruolo di potenza diplomatica mediando la riconciliazione tra Arabia Saudita e Iran. La Turchia, oscillante tra Nato e ambizioni regionali, gioca su più tavoli: collabora con Mosca, resta interlocutrice di Washington e rafforza la sua presenza in Africa con investimenti economici e basi militari in Somalia, Sudan e Sahel. Israele, stretto tra sicurezza e convenienze economiche, guarda ai Paesi arabi e all’Africa come nuovi partner strategici. Anche l’India si fa largo nella regione: con oltre 8,8 milioni di lavoratori nel Golfo e il 15,8 % del suo commercio con i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, partecipa al quadrilatero I2U2 (India‑Israele‑Emirati‑Usa) e considera il Golfo un’area chiave per la propria strategia Indo-Pacifica.
L’Africa sta riscrivendo la mappa del potere. Mosca, attraverso milizie e accordi di sicurezza, si insinua dove l’Occidente si ritira: il nuovo Corpo Africano conta oltre duemila soldati dispiegati tra Mali, Niger e Burkina Faso. Pechino rafforza la propria influenza con infrastrutture, debito e accesso alle materie prime. L’Europa, divisa e ancora segnata dall’eredità coloniale, arretra; in meno di un anno Mali, Burkina Faso e Niger hanno espulso le missioni europee e costituito l’Alleanza degli Stati del Sahel. Al loro posto avanzano Turchia, India e monarchie del Golfo, più agili e pragmatiche. Ma l’Africa non è più soltanto un terreno di conquista: la crescita demografica (1,4 miliardi di abitanti, di cui il 60 % sotto i 25 anni) e l’integrazione economica grazie alla African Continental Free Trade Area – un mercato di 1,3 miliardi di persone con un PIL di 3,4 trilioni di dollari – le conferiscono un peso politico mai avuto prima. Nel 2023, il commercio intra‑africano formale ha raggiunto 192,2 miliardi di dollari, pari al 14,9 % degli scambi totali del continente.
Medio Oriente e Africa oggi si congiungono lungo linee strategiche: il mar Rosso, il Sahel, il Corno d’Africa. Sono le nuove vie della globalizzazione, dove passano energia, merci, migranti e interessi militari. Chi controlla questi corridoi decide l’equilibrio tra Asia, Europa e Atlantico. Non è un caso che l’Unione Africana sia entrata nel G20 e che i Brics si allarghino al Sud del mondo: il blocco comprende ora undici membri e rappresenta oltre un quarto dell’economia globale, pur restando diviso su vari dossier internazionali. Il multipolarismo prende forma qui.
L’Occidente osserva questo processo con crescente incertezza. L’ordine unipolare nato negli anni Novanta si sta dissolvendo, sostituito da un mosaico di potenze regionali che competono ma anche cooperano. Medio Oriente e Africa, un tempo retrovie della globalizzazione, diventano così i laboratori di un nuovo equilibrio globale: mobile, frammentato, negoziato.
Per l’Occidente, il bivio è chiaro. Può scegliere di adattarsi, costruendo partenariati realistici e paritari, abbandonando l’approccio paternalista e investendo in infrastrutture e formazione; oppure rimanere ancorato a una visione nostalgica. Nel primo caso resterà un attore influente nel mondo multipolare. Nel secondo, rischia di diventare spettatore di un ordine che altri stanno già scrivendo.