Documento ritrovato da Sylvain Besson in Svizzera
Un nome che ai più dice poco o niente. Più niente che poco, realisticamente. Youssef Moustafa Nada, nato nel 1931 in Egitto, più precisamente ad Alessandria; banchiere e uomo d’affari italo-egiziano, oggi 86enne, è da sempre legato alla Fratellanza Musulmana e non con un ruolo qualunque: in più occasioni è stato definito lo stratega finanziario dell’organizzazione o il ministro degli Esteri. Insomma, una figura di spicco del gruppo e un personaggio su cui da sempre si sono addensati sospetti. In un’intervista del 22 giugno 2005 ad Andrea Leoni di TicinOnline, parlando per la prima volta dopo l’assoluzione del Tribunale federale dalle accuse di essere uno dei finanziatori di Al Qaeda, aveva chiarito alcuni punti decisivi della sua vicenda: “Io sono un banchiere? Sì. Sono un businessman? Sì. Sono ingegnere? Sì. Sono un politico? Sì. Sono un attivista islamico? Sì. Sono attività che non ho mai negato. Così come non ho mai negato che per un quarto di secolo sono stato il responsabile del contatto politico estero dei Fratelli Musulmani, che è un’organizzazione moderata e non violenta. Da quando ho 17 anni è un onore per me fare parte dei Fratelli Musulmani. Non c’è nessuno nei paesi musulmani che non abbia sentito il mio nome. Mi sono sempre impegnato per la pace e contro le ingiustizie”.
Assolto da tutte le accuse e archiviate tutte le procedure d’inchiesta sul suo conto in Italia e in Svizzera, la figura di Nada rimane comunque di estrema importanza relativamente alla comprensione di alcuni processi e meccanismi d’azione della Fratellanza non solo nei Paesi a maggioranza islamica, ma anche e soprattutto in Occidente. E per un motivo preciso, che fa riferimento diretto ad un documento di 14 pagine rinvenuto durante una perquisizione a casa del banchiere italo-egiziano negli anni in cui era sotto inchiesta. Il titolo è evocativo, oltre che di straordinario interesse: La conquista dell’Occidente. E che è anche il titolo del libro che ne racconta il ritrovamento: La conquête de L’Occident, pubblicato nel 2005 dal giornalista franco-svizzero Sylvain Besson.
Datato 1982, non se ne conosce l’autore e lo stesso Nada lo descrisse come un documento insignificante, redatto da non meglio specificati ricercatori islamici. Un progetto, un insieme di direttive e di passaggi stilati in maniera lineare. Per ambienti e circostanze, situazioni e soggetti: come comportarsi, quali obiettivi perseguire e con quali modalità portare a termine la conquista. Un concentrato di idee, modalità di comportamento, attività e significati che vale la pena di analizzare e cercare di contestualizzare, focalizzando per prima cosa un elemento che quando ho letto il documento mi ha particolarmente colpito: ricorre continuamente, in maniera quasi ossessiva, la frase “padroneggiare l’arte del possibile”.
Non sfuggirà che questa frase viene da sempre ricondotta a Otto von Bismarck, il Cancelliere di ferro, Primo ministro della Prussia dal 1862 al 1890 e primo Cancelliere tedesco della storia tedesca. Un uomo che, sintetizzando in maniera brutale, aveva ben chiaro come raggiungere i propri obiettivi. Già che siamo in tema di citazioni, ne voglio ricordare una, esemplificativa del carattere e delle modalità d’azione di Bismarck, pronunciata nel 1862 di fronte al Comitato Bilancio del Landtag di Prussia, in occasione della richiesta di aumento delle spese militari: “Non con discorsi né con le delibere della maggioranza si risolvono i grandi problemi della nostra epoca ma col ferro e col sangue”. Questo era Otto von Bismarck, il personaggio a cui si pensa immediatamente dal momento che si legge continuamente, nel documento di cui parliamo, “padroneggiare l’arte del possibile”. Sul filo della significanza di questo concetto si muove l’intero architrave del documento ritrovato, su cui è stato scritto un solo libro, quello di Besson, mai tradotto in altre lingue. Resta inspiegabile, infatti, a maggior ragione avvalorando la tesi del documento non rilevante, che non se ne sia praticamente parlato in questi anni e che, sostanzialmente, non fosse conosciuto ai più se non per qualche articolo sul web e per qualche portale che lo richiamava. Perché? Forse perché talmente insignificante da non ritenersi dovuta nemmeno un’analisi più approfondita? O magari, come spesso accade, proprio perché non insignificante e capace di toccare un tasto delicato si preferisce farlo cadere nel dimenticatoio?
Besson ci spiega che alcune inchieste sul documento vennero fatte e come da esse sia emerso che si tratti di una sorta di strategia politica. Ed è un risultato, leggendo il documento, che in qualche modo poteva essere prevedibile. Partiamo dunque dal concetto di cui prima abbiamo brevemente accennato, ovvero “padroneggiare l’arte del possibile”: cosa significa concretamente nella disciplina politica generale? Plasmare e modellare la realtà tramite soluzioni e azioni che permettano di raggiungere i propri obiettivi in politica; studiare tutte le vie e le modalità di persecuzione di un intendimento e poi applicare quella che per la situazione o la contingenza del momento appaia più utile al fine. In sostanza, e per essere il più possibile chiari, è la capacità di rendere la politica uno strumento di realizzazione dei propri obiettivi tramite tutte le possibilità che essa offre. E in questo documento non si usano mezze vie o giri di parole per descrivere come questa metodologia venga applicata e in quali ambiti. Qui non si tratta di dover analizzare punto per punto cosa prevede il piano o strategia, per usare le parole di Besson, ma tentare di comprendere come tali punti o cardini interpretativi abbiano influito e continuino ad influire sullo svolgimento della vita politica e sociale in Occidente.
Prendiamo in esame i punti di partenza di questa strategia, così come nel suo libro li traduce e analizziamone le viscere concettuali e i meccanismi, nel riscontro con la realtà odierna. E soprattutto come integrino la dottrina dell’arte del possibile. Dodici punti, divisi a loro volta in Elementi/Procedure/ Missioni Suggerite, dai quali possiamo già farci un’idea di quelle che possono essere le attività della Fratellanza in Occidente; non si può non osservare che, nonostante il documento sia di estremo interesse, esso risale al 1982 ed è dunque più che plausibile ipotizzare che in questi trentacinque anni la dottrina si sia evoluta, sia stata aggiornata e abbia preso in esame molti aspetti al tempo non presenti: uno su tutti Internet, i social e gli smartphone. Elementi non di poca ma di capitale importanza, oserei dire, visto che la cronaca di questi anni ci ha insegnato a studiare le mosse del proselitismo internazionale alla luce dei rinnovati e accelerati processi di comunicazione via web. E vedremo il perché di questa ipotesi, tornandoci nelle riflessioni che faremo al termine dell’esame. Andiamo dunque a scandagliare fra le sottocategorie di ogni punto, in modo da comprendere come nella realtà di questi anni il tutto abbia preso forma concreta.
1) Conoscere il terreno e adottare una metodologia scientifica per la pianificazione e la messa in opera. Qui vengono messi in rilievo alcuni aspetti, come ad esempio la “necessità di conoscere i fattori influenti nel mondo, che si tratti di forze islamiche, di forze avverse o di forze neutre. Ricorrere ai mezzi scientifici e alle tecnologie necessarie alla pianificazione, organizzazione, messa in opera e controllo” o anche “creare degli osservatori per raccogliere l’informazione, conservarla per ogni fine utile, servirsene nel caso di necessità appoggiandosi a dei mezzi tecnologici moderni. Creare dei centri di studio e di ricerca e produrre degli studi sulla dimensione politica del movimento islamico”. Mi vengono in mente le adesioni a partiti politici, come gruppi o singoli individui, le campagne sui social network e sui media strumentalizzando questioni quali razzismo e islamofobia, l’uso del web a scopo di propaganda e l’intervento sulla stampa ad ogni circostanza utile.
2) Mostrare serietà nel lavoro. In questo caso è un capoverso interno a destare attenzione: “Mobilitare il massimo di seguaci e responsabili”. E “raccogliere efficacemente denaro, controllare le dispense e investire nell’interesse generale”. Mi viene in mente quante volte è stato denunciato come dietro all’arrivo di finanziamenti da Paesi più vari ci sia il proselitismo e come, ad ogni occasione utile per mobilitarsi, le frange più dure scendano in campo in massa.
3) Conciliare l’impegno internazionale e la flessibilità a livello locale. Un fattore decisivo: “Impegno islamico mondiale per una liberazione totale della Palestina e la creazione di uno Stato musulmano, missione che incombe sulla direzione mondiale. Stabilire un dialogo a livello locale con coloro che lavorano per la causa secondo la linea politica mondiale del Movimento”. Obiettivo fondamentale da sempre quello della liberazione della Palestina, a cui si aggiunge qui l’elemento della creazione di uno “Stato musulmano”, che verrà precisato più avanti.
4) Conciliare l’impegno politico e la necessità di evitare l’isolamento, l’educazione permanente delle nuove generazioni e il lavoro attraverso le istituzioni. Qui si approfondisce in maniera più concreta quanto esposto al punto 1: “Libertà politica in ogni Paese in funzione del contesto locale, senza dunque partecipare ad un processo di presa delle decisioni che sarebbe contrario ai testi della sharia. Invitare tutti a partecipare ad assemblee parlamentari, municipali, sindacali e di altre istituzioni, i cui consigli sono scelti dal popolo nell’interesse dell’Islam e dei musulmani. Continuare ad educare gli individui e le generazioni e a garantire la formazione degli specialisti nei diversi ambiti secondo un piano previamente studiato. Costruire delle istituzioni sociali, economiche, scientifiche e nel campo della salute e penetrare nell’ambito dei servizi sociali per essere in contatto con il popolo e per servirlo attraverso le istituzioni islamiche”. L’obiettivo è chiaro, e cioè entrare a far parte di quanti più consessi politici e rappresentativi possibili, onde assicurare una presenza forte e significativa; non per decidere in prima persona, bensì per orientare le decisioni in senso favorevole agli obiettivi. Pensiamo, tornando su quanto detto al primo punto, alla presenza sempre più numerosa di esponenti dichiaratamente islamici presso consigli e assemblee, cosa che fu palese in corrispondenza della primavera araba, quando di alcuni comuni in Italia entrarono a far parte esponenti addirittura di Ennahda, partito dei Fratelli Musulmani tunisini con a capo Rachid Ghannouchi. O la realizzazione di partiti islamici, di cui più avanti vedremo presenza e connotati. E poi costruire realtà che possano “penetrare i servizi sociali” e aiutare il popolo “attraverso istituzioni islamiche”: stesso schema della Fratellanza specialmente in Egitto, dove il popolo si avvicina per il tramite di strutture caritatevoli. Sull’educare e formare le generazioni non credo occorra dire di più, visto che l’indottrinamento è sotto gli occhi di tutti.
5) Impegnarsi a stabilire lo “Stato islamico”, parallelamente a sforzi crescenti per arrivare a controllare i centri di potere locali e a influenzare l’operato delle istituzioni. In questo quinto punto, un imperativo colpisce più di tutti: “Studiare i centri di potere locali e mondiali e le possibilità di metterli sotto influenza”. È il progetto di cui parlo da sempre, cioè quello di arrivare al vertice della politica e del potere in Occidente, per poi dare il via al suo assoggettamento e alla sua conquista. Poche parole ma rivelatrici di un proposito che ormai si perde nella notte dei tempi. E che prosegue giorno dopo giorno grazie alla pressione dei gruppi, all’inserimento nelle maglie del potere, alla conversione di personaggi di vario livello.
6) Lavorare con lealtà al fianco dei gruppi e delle istituzioni islamiste in diversi ambiti, accordandosi in un’intesa per “cooperare sui punti di convergenza e mettere da parte i punti di divergenza”. Si legge: “Coordinare il lavoro di tutti quelli che lavorano per l’Islam, in ogni Paese e stabilire con loro un contatto di qualità che si tratti di gruppi o di individui”. Tutto deve essere orientato verso la compattezza dell’organizzazione. Si pensi ai molti convegni internazionali nei quali si incontrano le varie organizzazioni islamiche mondiali.
7) Accettare il principio di una cooperazione provvisoria tra i movimenti islamici e i movimenti nazionali nei contesti generali e su dei punti di intesa come la lotta contro la colonizzazione, sulla predicazione e sullo Stato ebraico, senza per altro dover formare delle alleanze. Questo richiede, però, dei contatti limitati tra certi dirigenti, caso per caso, fintanto che questi contatti non vengano. Non bisogna prestare loro fedeltà o fidarsi, sapendo che il movimento islamico deve essere all’origine delle iniziative e degli orientamenti presi. Qui abbiamo un assaggio di organizzazione che lavori ma senza strafare, per così dire: “Unire tutti gli sforzi contro le forze supreme del male in virtù del principio secondo il quale bisogna lottare contro un male con lo stesso male. Circoscrivere la collaborazione alle basi dirigenti o a un numero di individui limitato per massimizzare il profitto e minimizzare gli eventuali inconvenienti. Lavorare in quest’ottica per realizzare degli obiettivi previamente definiti dalla dawa”. Lavorare con gruppi e realtà influenti del Paese in cui ci si trova, ma senza porre fiducia totale e piena, perché l’obiettivo è sempre quello del movimento islamico e dunque non ci possono essere deviazioni; tutto è orientato al raggiungimento dello scopo, anche i rapporti e i legami instaurati. Tutto è uno strumento: cose, persone, istituzioni, politica, ambienti.
8) Padroneggiare l’arte del possibile, in una prospettiva provvisoria, senza abusare dei principi di base, sapendo che i precetti di Allah sono tutti applicabili. Bisogna ordinare l’utile e interdire il “riprovevole”, dando sempre un’opinione documentata. Ma non bisogna cercare un confronto con i nostri avversari, su scala locale o mondiale, poiché sarebbe sproporzionato e potrebbe da esso scaturire in attacchi contro la dawa, “propaganda”, o le sue discipline. Qui va sottolineato un passaggio fra gli altri, quello che chiede di “dare un’opinione documentata e scientifica, sotto forma di discorso, di comunicati o di libri che si rifanno agli eventi importanti che vive la nostra Umma, “la comunità dei musulmani sulla Terra”. Evitare che il movimento si trovi ad affrontare scontri di grande portata che potrebbero incoraggiare i suoi avversari a dargli il colpo di grazia”. Si richiede, in sostanza, di esprimersi e rilasciare una propria versione di ogni fatto o atto che riguardi il mondo islamico in genere; questo perché non passi un’idea diversa da quella che l’organizzazione vuol far passare. Si pensi, ad esempio, alla questione del burqa e del niqab: una legge che va incontro alle donne che non vogliono essere costrette ad indossare questi indumenti che si tentò, dall’altra parte, di far passare per un provvedimento liberticida, addirittura anti-islamico. Ma sempre con mezzi non eccessivamente aggressivi, come una lettera al Presidente della Repubblica, così da non esporre il movimento allo scontro, che poteva essere deleterio e addirittura controproducente. Padroneggiare l’arte del possibile, ritorna sempre, perché tutto si può fare e i precetti possono essere sempre applicati: basta solo trovare la via giusta, nelle condizioni del momento e con ciò che si ha a disposizione.
9) Costruire in maniera permanente la forza della dawa islamica e sostenere i movimenti impegnati nel jihad nel mondo musulmano a diversi livelli e il più possibile. Qui il piano evolve ulteriormente e tocca ancora più a fondo la dimensione decisiva della propaganda: “Proteggere la dawa con la forza necessaria (…) Entrare in contatto con ogni nuovo movimento impegnato nel jihad ovunque sia sul pianeta e con le minoranze musulmane, e creare delle passerelle secondo i bisogni, per sostenerle e stabilire una collaborazione. Mantenere il jihad “sveglio” all’interno della Umma”. E poi: “Creare dei ponti tra i movimenti impegnati nel jihad nel mondo musulmano e le minoranze musulmane, e sostenerle per quanto possibile nell’ottica di una collaborazione”.
10) Aiutarsi con mezzi di sorveglianza vari e diversi, in più posti, per raccogliere informazioni e adottare metodi di comunicazione efficaci, anche a beneficio di tutto il movimento islamico mondiale. La sorveglianza, le decisioni politiche e una comunicazione efficace sono complementari. Quanto la comunicazione sia fondamentale, al fine di strutturare e mantenere un movimento come quello di cui si parla, è chiaro. E il documento non fa mistero del fatto che se si comunica in maniera efficace, combinando raccolta di informazioni e attività politica, si va nella giusta direzione: “Diffondere la politica islamica affinché sia largamente ed efficacemente coperta dai media. Messa in guardia dei musulmani sui pericoli che li minacciano, sui complotti internazionali fomentati al loro incontro. Fornire un’opinione sulle questioni di attualità e future”. Se penso ai social, ai giornali asserviti, alle televisioni che danno uno spazio amplissimo a certi personaggi e zero ai moderati, non credo di andare troppo lontano. Si è mai visto in tv un musulmano moderato parlare del terrorismo? E quanti estremisti sono stati invitati a dire la loro, senza però mai condannare nettamente chi semina odio e terrore?
11) Adottare la causa palestinese su un piano islamico mondiale e su un piano politico attraverso il jihad, perché si tratta della chiave di volta della rinascita del mondo arabo di oggi. La questione palestinese, oggetto di scontro e di controversia da decenni. Potremmo dire da sempre. Ecco come il documento traccia le linee di pensiero e di azione relativamente al raggiungimento dell’obiettivo finale: “Preparare la comunità dei credenti al jihad per la liberazione della Palestina. Si potrà condurre la Umma per realizzare le decisioni del movimento islamico soprattutto se la vittoria ci spetta, se Dio lo vuole. Creare il nucleo del jihad in Palestina, seppur modesto e nutrirlo per intrattenere questa fiamma che illuminerà il solo ed unico cammino verso la liberazione della Palestina, affinché la causa della Palestina resti viva fino al momento della liberazione. Raccogliere fondi sufficienti per portare avanti il jihad. Fare un sondaggio sulla situazione dei musulmani e del nemico nella Palestina occupata. Lottare contro i sentimenti di resa all’interno della Umma, rifiutare le soluzioni disfattiste e mostrare che la conciliazione con gli ebrei porterebbe alla violazione del nostro movimento e della sua storia (…) Creare delle cellule di jihad in Palestina, sostenerle affinché possano coprire tutta la Palestina occupata. Creare un legame tra i mujaheddin in Palestina e quelli che si trovano in terra islamica. Nutrire i sentimenti di rancore contro gli ebrei e rifiutare qualunque coesistenza”. Sebbene molte delle cose che si possono leggere nei vari stralci di questo punto non sorprendano, è bene ricordare sempre come quello palestinese è da tempo immemore considerato il problema dei problemi, risolto il quale ogni cosa potrebbe essere possibile. Qui, come è possibile leggere confermando quel che già si sa, convergono molti degli sforzi a livello globale affinché questa terra venga “liberata”. Non sorprende, ma conferma la realtà, quel che si legge relativamente alla creazione di cellule jihadiste in Palestina, i cui attacchi non sono cosa ignota alle cronache di questi decenni. Nonostante la tensione, negli anni, sia divenuta più uno strumento per esacerbare il jihad internazionale che un’arma sul campo stesso della Palestina, visto che la situazione non ha subito scossoni di rilievo.
12) Saper ricorrere all’autocritica e ad una valutazione permanente della politica islamica mondiale e dei suoi obiettivi, del suo contenuto e delle sue procedure al fine di migliorarsi. È un compito e una necessità secondo precetti della sharia. Con questo punto si chiude l’elenco delle basi di partenza per l’attività relativa alla costruzione di questa realtà: “Migliorare le politiche islamiche facendo tesoro delle esperienze passate deve essere un obiettivo chiaro e primordiale. Valutare le pratiche attuali e fare tesoro delle esperienze passate. Domandare ai responsabili di diversi Paesi, nonché agli individui di ogni Paese, di dare la loro opinione sulle direzioni, sui metodi e sui risultati ottenuti”.
Andare avanti e migliorarsi, senza soluzione di continuità, cercando di apportare sempre soluzioni nuove e adatte alla realtà del momento, mutevole e capace di trasformarsi. L’arte del possibile anche qui torna a farsi vedere e induce tutti coloro che lavorano a questo piano ad osservare lo stato delle cose e a proporre la propria idea per migliorarlo. Nello stesso momento in cui veniva trovato questo documento, nei locali di una società finanziaria legata ai Fratelli Musulmani si rinveniva poi un altro documento, nel quale si delineano i meccanismi e le realtà finanziarie che fanno capo al movimento in Occidente e non solo.
di Souad Sbai