I turchi si ribellano all’arresto del sindaco di Istanbul – Dal carcere il principale leader dell’opposizione vince le primarie, a conferma del grande sostegno popolare e della protesta diffusa in Turchia verso la deriva dittatoriale di Erdoğan, che unisce repressione e islamizzazione per rafforzare il regime.
Lo scorso 19 marzo, l’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, ha segnato un ulteriore passo verso l’autoritarismo in Turchia. Accusato di corruzione e legami con gruppi terroristici (il solito PKK curdo), İmamoğlu è l’ennesima vittima della strategia di Erdoğan per consolidare il proprio potere, eliminando qualsiasi dissenso. İmamoğlu è infatti leader di spicco del Partito Popolare Repubblicano (CHP), principale forza di opposizione, e probabile sfidante alle elezioni presidenziali del 2028 del candidato che esprimerà il partito di governo, Giustizia e Sviluppo (AKP). Candidato che potrà essere lo stesso Erdoğan se riuscirà a spuntarla nella controversia in corso riguardante il numero dei suoi mandati.
In ogni caso, İmamoğlu è il nemico da mettere fuori gioco, dopo che ha già ripetutamente sconfitto esponenti dell’AKP alle elezioni municipali. Di qui l’arresto, sulla base di accuse di circostanza e infondate.
L’accaduto è solo l’ultimo di una lunga serie di azioni contro chi osa sfidare il regime erdoganiano, ma la sua gravità ha scatenato proteste di massa in tutto il Paese. I divieti di scendere in strada non sono stati ascoltati dalla popolazione, che è andata incontro a una dura repressione senza precedenti. Le manifestazioni contro l’arresto di İmamoğlu sono state accolte con brutalità dalle forze di polizia, che hanno arrestato migliaia di dimostranti, tra giornalisti, fotografi, politici e intellettuali.
Non è la prima volta che i turchi si ribellano nei confronti di Erdoğan. È già successo nel 2013, con le proteste di Gezi Park. D’altro canto, mentre nel 2013 le manifestazioni erano spontanee, ora è il CHP a mobilitare apertamente i cittadini contro quello che l’opposizione definisce un “golpe civile”, ossia un tentativo del governo di eliminare un avversario politico per via giudiziaria.
Dal carcere, İmamoğlu ha vinto le primarie per la guida del partito il 23 marzo, ottenendo oltre 15 milioni di voti, a conferma sia del grande sostegno di cui gode a livello popolare che della protesta contro la deriva anti-democratica ormai subita da un Paese dove il principale leader dell’opposizione si trova in stato di arresto di fatto come prigioniero politico.
Dietro il volto sempre più dittatoriale, il regime di Erdoğan cela un altro aspetto cruciale: il legame ormai consolidato con l’islamismo radicale e i Fratelli Musulmani.
Dal suo arrivo al potere, Erdoğan ha cercato di ridefinire la Turchia come una nazione che mescola religione e politica, promuovendo una visione islamista che si riflette in ogni ambito del suo governo. L’alleanza con i Fratelli Musulmani è uno degli aspetti più controversi di questa svolta. Dopo il colpo di stato in Egitto nel 2013, che ha deposto il presidente Mohamed Morsi, Erdoğan ha offerto rifugio e supporto politico a molti membri di questa organizzazione, trasformando la Turchia nell’avamposto per gruppi e militanti islamisti di Nord Africa e Medio Oriente (ma anche in Europa). La sua politica estera ha enfatizzato l’alleanza con i Fratelli Musulmani, di cui ha promosso l’agenda destabilizzando l’intera regione con la cosiddetta “Primavera Araba”.
L’islamismo politico non è solo un elemento ideologico per Erdoğan, ma uno strumento di controllo per rafforzare il proprio regime. Sfruttando il sostegno interno degli islamisti, il governo ha costruito una rete di alleanze che gli consente di esercitare un controllo assoluto, marginalizzando o eliminando qualsiasi forma di dissenso. Il caso di İmamoğlu è emblematico.
La crescente islamizzazione del Paese, unita alla repressione sistematica delle voci critiche, ha eroso le fondamenta della democrazia. La Turchia si trova così di fronte a un bivio: continuare a scivolare nell’autoritarismo, o riscattare la propria libertà, la propria democrazia e la propria dignità. Il futuro dipenderà dalla capacità della società turca di resistere all’oppressione, ma con il regime di Erdoğan sempre più duro e spietato, il cammino verso un cambiamento reale sembra davvero arduo, anche per la mancanza di reale supporto da parte europea e occidentale.