Il vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo è stato caratterizzato dal rientro del Qatar nell’alleanza araba. Dopo essere stato un alleato dell’Iran, isolato e sotto embargo, ora si dissocia da Teheran. Altra eredità della diplomazia di Kushner (amministrazione Trump).
Il vertice del Consiglio di Cooperazione del Golfo che si è tenuto ieri, 5 gennaio, ad Al Ula in Arabia Saudita, sarà ricordato come quello della “riconciliazione”, simboleggiata dall’abbraccio all’aeroporto tra il padrone di casa, il principe ereditario, Mohamed bin Salman, e l’emiro del Qatar, Tamim Al Thani. Dopo tre anni e mezzo, si chiudono così le ostilità tra Doha e il cosiddetto Quartetto, composto da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, membri dello stesso Consiglio, e l’Egitto, anch’esso presente ad Al Ula. La ripresa delle piene relazioni diplomatiche e il sollevamento dell’embargo terrestre, aereo e marittimo, rappresentano la mano che i suddetti Paesi hanno teso in buona fede al Qatar, in cambio ‒ perché pur sempre di un negoziato si tratta ‒ di una normalizzazione delle politiche di Doha rispetto ai loro interessi di sicurezza.
La dichiarazione finale del vertice illustra chiaramente i nodi che il Qatar, avendola firmata, si è impegnato solennemente a scogliere. In primo luogo, basta “interferenze negli affari interni”, ovvero soffiare sul fuoco dei Fratelli Musulmani per destabilizzare in un modo o nell’altro i Paesi del Quartetto. Un impegno a cui dovrebbe in realtà aderire anche la Turchia di Erdogan, che ha accolto positivamente l’accordo di “riconciliazione”.
Passando dalla Fratellanza sunnita a quella sciita, il Qatar si è impegnato a porre fine alle relazioni di sostanziale partenariato con l’Iran khomeinista. La condanna delle “continue interferenze” e degli “atti di terrorismo” di Teheran, nonché l’apprezzamento per quei paesi che hanno designato l’Hezbollah libanese come organizzazione terroristica, sanciscono da parte di Doha un’inequivocabile presa di distanza dalle politiche perseguite finora.
Tra i motivi del contendere con il Quartetto, spiccava infatti la crescente convergenza tra l’agenda del Qatar e quella dell’Iran. Con lo scoppio della “Primavera Araba” nel 2011, ad eccezione del tutti-contro-tutti siriano, i due Paesi hanno cominciato a sostenere l’uno le ambizioni regionali dell’altro, anche semplicemente non ostacolandole, con l’auspicio che il successo del partner potesse aprire nuovi spazi per la propria influenza. Ciò è avvenuto tanto in Nord Africa a beneficio di Doha, si vedano a tal proposito Libia, Tunisia ed Egitto, quanto in Iraq, Yemen e Bahrein, su cui aleggia tuttora la “longa mano” di Teheran.
L’imposizione dell’embargo nel giugno 2017 ha visto Qatar e Iran avvicinarsi ulteriormente, al punto da indurre Doha a dissociarsi apertamente dalla “massima pressione” e dalle relative sanzioni imposte dagli Stati Uniti di Donald Trump nei confronti di Teheran, che a Doha aveva offerto sostegno logistico essenziale per l’aggiramento del blocco. In occasione di vertici precedenti del Consiglio di Cooperazione del Golfo, i rappresentanti del Qatar si erano persino rifiutati di firmare i documenti finali per via dei contenuti, considerati troppo duri verso l’Iran.
Ad Al Ula, il Qatar, rappresentato dall’emiro Tamim in persona, ha invece siglato la dichiarazione di “riconciliazione” con il Quartetto, contenente prese di posizione contro le politiche dell’Iran non meno perentorie di quelle rifiutate in passato. A cosa si deve la svolta? La disponibilità del Quartetto a porre fine all’embargo, anche in vista dei Mondiali di calcio previsti nel 2022, è stata certamente un incentivo fondamentale, che ha a sua volta agevolato l’opera di mediazione del Kuwait e degli Stati Uniti con l’inviato di Trump, Jared Kushner.
Agli Accordi di Abramo è andata dunque ad aggiungersi la “riconciliazione” nel Golfo. Trump lascia in eredità a Joe Biden un Medio Oriente certamente più compatto di quello lasciato sia da Barack Obama che da George Bush, nel fronteggiare la minaccia dell’espansionismo iraniano con le sue milizie armate. Il Qatar ha davanti a sé una grande opportunità per riabilitarsi non solo al cospetto dei paesi vicini nel Golfo, ma agli occhi dell’intera comunità internazionale. Doha rispetterà quanto sottoscritto ad Al Ula, o si è trattato di un passo di lato tattico, di un ripiegamento seguendo la direzione momentanea del vento, in attesa di riprendere quella sbagliata di sempre? Sta ora al Qatar dimostrare che da parte sua la “riconciliazione” non è un bluff.
di Souad Sbai